Carlo Levi è nato a Torino nel 1902, dove trascorre la sua adolescenza e giovinezza. Una forte amicizia lo lega a Piero Gobetti e ad altri giovani ispirati agli stessi principi di libertà, uniti attorno agli ideali della Rivoluzione Liberale.
Laureatosi in medicina, lo stesso anno espone le sue pitture alla Biennale di Venezia e fa parte dei primi gruppi di tenaci oppositori al fascismo. La coerenza delle sue idee lo porta a dare un peso politico alla pittura, da lui considerata come espressione di libertà. Per questa sua precisa posizione culturale, si schiera apertamente contro la retorica dell’arte ufficiale, sempre più sottomessa al regime, mal celata dalla ipocrita modernità del futurismo e dal conformismo del XX secolo. Il suo spirito antifascista lo spinge ad organizzare i primi gruppi clandestini fra cui Giustizia e Liberta, della quale lui stesso è fondatore. Incarcerato diverse volte, viene definitivamente confinato nel 1935 ad Aliano, in Lucania, dove vive una esperienza interiore a contatto con una popolazione abbandonata dalla storia, con un mondo antichissimo e nascosto, alla scoperta di una diversa civiltà.
La sua sensibilità umana lo spinge a denunciare sul suo capolavoro “Cristo si è fermato a Eboli” le condizioni di vita disumane di questa gente schiacciata dalle ingiustizie sociali e dalla indifferenza politica, poveri contadini dimenticati ai margini dello Stato, ai quali neppure la parola di Cristo sembra non essere mai giunta. Un’altra illustre “ospite” nella “terra del confino” è stata Camilla Ravera.
Nel 1939 lo ritroviano in Francia, ma, nel 1943 in Italia viene nuovamente arrestato. Prende parte attiva alla Resistenza come Membro del Comitato di Liberazione della Toscana. Direttore del quotidiano toscano “La Nazione del Popolo” e, nel 1945, a Roma de “L’Italia libera”. Senatore della Repubblica, muore a Roma nel 1975. Per sua volontà, viene sepolto proprio ad Aliano, dove l’artista aveva ritrovato gli autentici valori umani che lo avevano sorretto e confortato nei momenti più drammatici della sua vita e negli anni più bui della storia italiana. Nel 1952, scrive: “Nelle grotte dei Sassi si cela la capitale dei contadini, il cuore nascosto della loro antica civiltà. Chiunque veda Matera non può non restarne colpito, tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza”.
La Fondazione che porta il suo nome custodisce tutta la copiosa raccolta di opere pittoriche dallo stile e dal tratto inconfondibile che l’artista ha voluto donare alla città di Matera. Sono esposte nel Palazzo Lanfranchi, insieme al grande murale “Lucania 61”, suggestivo ed inquietante, che riassume e trasmette al visitatore molte emozioni e lo mette in contatto con una realtà lontana e metafisica. Ha vissuto intensamente i momenti culturali della città, quando le difficili condizioni di vita degli ultimi abitanti dei Sassi sono state da lui denunciate al mondo come “vergogna nazionale” e quando la città stessa ha saputo ricercare una nuova dimensione umana e sociale, durante e dopo il trauma dello svuotamento degli antichi rioni, con la scelta consapevole di affondare le radici del suo futuro nei valori secolari della sua antica civiltà.
Dal libro
“Cristo si è fermato a Eboli” :
-” Arrivai a Matera, mi raccontò (parla la sorella, ndr) verso le undici del mattino. Avevo letto nella guida che è una città pittoresca, che merita di essere visitata, che c’è un museo di arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche…
Allontanatami un poco dalla stazione, arrivai a una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall’altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera.
…La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra.
Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi. …Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante….in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. …alzando gli occhi vidi finalmente apparire, come un muro obbliquo, tutta Matera.
…E’ davvero una città bellissima, pittoresca e impressionante.” –
Rocco Scotellaro, il sindaco-poeta di Tricarico, piccolo centro agricolo in provincia di Matera, molto vicino ai contadini durante le tragiche giornate della occupazione delle terre, nonché amico personale dell’artista piemontese, ha così definito il libro :
“il più impressionante e crudele memoriale dei nostri paesi”…dove ”ci sono morti e lamenti da far impallidire i santi martiri per la forza di verità”
Dalle prime righe del libro
“Noi non siamo Cristiani. Cristiano vuol dire, nel loro linguaggio, uomo”
Altri suoi scritti:
Paura della Libertà – L’Orologio – Le parole sono pietre –
Il futuro ha un cuore antico – Doppia notte dei tigli –
Tutto il miele è finito – Contadini e Luigini